In esplorazione nel Parco delle Dolomiti Friulane

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Per chi come me ha un legame stretto con il Trentino e una certa idea quando si parla di Dolomiti, dei suoi paesaggi e profumo dell’aria, a volte s’immagina di poter trovare uno scenario analogo. Nulla di più sbagliato. Le Alpi Friulane sono altro, altrettanto belle e uniche.
Ho passato solo 4 giorni nella provincia di Pordenone e ne sono rimasta piacevolmente colpita.
Mi è sembrato d’obbligo il primo giorno visitare la città di Pordenone che vanta un piccolo, ma ricco centro: passeggiare sotto gli antichi portici a naso all’insù per osservare i resti degli affreschi dei palazzi del XV secolo è stato estremamente piacevole.
La città vanta edifici storici tra palazzi e chiese, ma anche numerosi parchi cittadini e musei tra cui quello di scienze naturali; il legame con la natura di questi posti mi è stato subito evidente.
A Pordenone ho respirato un’aria ospitale e sperimentato la gentilezza dei cittadini, una costante sempre presente nel mio breve viaggio anche nei piccoli paesi di montagna e rifugi.

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Il giorno seguente il viaggio è proseguito con destinazione il Parco delle Dolomiti Friulane.
Già solo il paesaggio che scorre dai finestrini è meritevole del viaggio, usciti dalla città si arriva in campagna e come sfondo eccole che occupano la vista, le Prealpi e subito dietro le Dolomiti. Un gioco tra i colori delle rocce e del cielo, tra l’asprezza dei Campanili (di cui vi parlerò in seguito) delle cime e la morbidezza delle nuvole che a volte li avvolgono.
Il mio punto d’appoggio è stato un paesino di nome Barcis, che conta 300 anime ma, essendo fuori stagione, avevo l’impressione che gli abitanti fossero molti meno.
È un piccolo presepe circondato dalle montagne, come quasi ogni borgo visitato nei giorni seguenti, ma questo ha la particolarità di specchiarsi in un lago da cui prende il nome.
Dal centro partono numerosi percorsi outdoor, ma è impossibile trattenersi dal fare il giro completo del lago, seguendo un sentiero curato dagli Alpini: la vista riempie gli occhi e il cuore, tant’è che il paesaggio sembra mutare ogni volta che ci si sofferma a contemplare.
Il Friuli Venezia Giulia conta numerosi parchi e riserve naturali e una di queste è la “Riserva naturale della Valcellina”, accessibile deviando dal percorso intorno al lago per ritornarci successivamente. La forra della Valcellina è la più grande e spettacolare del Friuli, i maestosi canyon scavati nei secoli contrastano con le acque cristalline, le stesse che rendono il lago e il fiume Cellina del caratteristico azzurro intenso.

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L’indomani, percorrendo il corso del fiume all’interno dei canyon che contraddistinguono questi luoghi, sono arrivata nel cuore del parco delle Dololmiti Friulane, Cimolais, un altro piccolo fiore all’occhiello. Superando il centro abitato, caratterizzato dalle piccole botteghe e le case in pietra, si segue la strada che porta nella Valle Cimoliana che prende nome dal fiume che l’attraversa, quindi alla fine dell’ombroso e umido percorso si sbuca in una vallata circondati dalle Alpi.
Il tragitto per arrivare all’attacco dei sentieri è ancora lungo, ma semplice, nel frattempo si può godere della bellezza dei monti che ci avvolgono, scovare i numerosi solchi dovuti agli impluvi, osservare in lontananza i boschi di larici che in questa stagione colorano i versanti e vicino a noi i faggi, ma anche scoprire la presenza del pino mugo.

Esplorazioni_Dolomiti_Friulane_Pino mugo_Passicreativi
Sopraggiunti all’imbocco del sentiero, s’intraprende la parte difficile, partendo da quota 1200 del rifugio Pordenone per arrivare a 2173 mt del Campanile Montanaia attraversando un ghiaione con un forte dislivello. Una volta ai piedi del campanile la fatica è nettamente ripagata.
Ma cosa sono i Campanili? Sono delle guglie di roccia che caratterizzano le cime di questa regione, motivo che ha contribuito a rendere questa parte di catena montuosa Patrimonio dell’UNESCO, di cui il Campanile della val Montanaia ne è il simbolo.

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Volendo visitare i luoghi emblema del territorio non potevo ignorare la diga del Vajont, palcoscenico di una tragedia che forse non tutti ricordano. Per vivere al meglio quest’ esperienza mi sono appoggiata ad una Guida Naturalistica, nonchè geologo, che ci ha accompagnato dal triassico ad oggi e attraverso tutte le oscure vicende, senza risparmiarci nessun dettaglio, che hanno portato a rendere tristemente famosa la diga.

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La vicenda racconta come la Natura, se non rispettata, soccomba, ma con lei anche l’Uomo. Parla anche di politica, del dio Denaro e della filosofia italiana. Parla di morti innocenti, quasi 2000. Una vicenda tragica che poteva essere evitata, ma che economicamente non era conveniente evitare.
Una vicenda che per cercarla di vivere a pieno mi ha portato a visitare, prima, il vecchio centro di Erto, dove ci sono le storiche case in pietra, alcune di esse ancora con i tetti e le pareti distrutte dalla notte del 9 ottobre 1963 e, in seguito, Casso, paese testimone dall’alto risparmiato dalla tragedia per un soffio ed infine Longarone, la cittadina spazzata via dalla sola potenza dell’aria che ha anticipato l’onda.

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Un’esperienza forte adatta come conclusione della mia avventura nel Friuli Venezia Giulia. Chissà, la prossima volta porto anche voi!

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Commenti

Eugenio Triboldi
12 novembre 2016
Percorso descritto con semplicità e maestria. Nel racconto hai saputo cogliere gli aspetti degni si sottolineatura, quelli che ti hanno colpito emotivamente. Di Erto è bastato ricordare le case in pietra, e non il blasonato Corona. Paola Scassola non vede l'ora di visitare quei luoghi; dopo la lettura mi sembra di esserci già stato.
13 novembre 2016
Grazie dei complimenti! Sono contenta di esser riuscita a portare i lettori in "escursione" con me pur restando seduti comodamente a casa propria.

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