Tra valli e tradizioni: il Carnevale di Livemmo

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Il team di Passicreativi è formato da piccole formichine laboriose che fanno sopralluoghi, ciaspolate ed escursioni invernali; poi ci sono io che come un grosso orso peloso d’inverno mi rintano sonnecchiante nelle mie stanze per un lungo letargo.

Sono in buona compagnia, vero? Lo spero. L’inverno non fa per me.

Ogni anno, però, c’è un avvenimento che mi porta tra valli e montagne nonostante il freddo e il cielo grigio, e no non è la fame, anche se il procacciarsi cibo in queste occasioni diventa un gustoso piacere: è il Carnevale!

Il giorno in cui il surreale prende forma, permette di essere tutto ciò che si vuole e nel mio caso respirare l’essenza delle tradizioni.

La Valle Sabbia, una valle bresciana, detiene a mio avviso lo spirito del carnevale per antonomasia. Ma è nei sui borghi antichi, aggrappati alle rocce e in quelli nascosti dalle montagne, che avviene una magia che si ripete da centinaia di anni.

Il più famoso di tutti è quello di Bagolino (dove ogni anno ci lascio il cuore e lacrime d’emozione), che vanta una storia antichissima e le prime testimonianze risalgono al secolo XVI, ma molti dettagli della tradizione fanno credere che discenda da un’epoca ancora più lontana.

Oggi però vi parlerò di una nuova scoperta, più giovane ma altrettanto importante: il Carneval di Loém” – il Carnevale di Livemmo.

Livemmo è un paesino di montagna nel comune di Pertica Alta, conta un centinaio di abitanti che in vista del Carnevale si adoperano per ospitare altrettanti visitatori e curiosi. Attualmente la manifestazione si svolge nella piazza principale. Una zona viene transennata e dedicata alle maschere, dove la popolazione locale travestita mette in atto il suo carnevale, mentre all’esterno i forestieri si possono godere lo spettacolo e sottostare ai loro simpatici scherzi.

Chi percorre le vie del paese troverà ristoro grazie alle donne del posto che nei loro abiti tipici cucinano senza sosta frittelle e offrono fumanti bicchieri di vin brulè e tè caldo, rendendo l’aria profumatamente dolce.

Percorrendo i vicoli adornati a festa, si arriva alla seconda piazzetta dove i restanti abitanti e quelli dei paesi vicini fanno mostra del loro sapere tramandato da generazione in generazione, dando vita a “i mestieri di una volta”. Gli intrecciatori di paglia, gli intagliatori di legno, le filatrici, le lavandaie, il fabbro e i vari artigiani presenti lavorano nella piazza racchiusa tra muri di antiche abitazioni; rievocando tempi passati di un ambiente contadino che sa di fatiche, asperità ma anche di collaborazione e gioia della vita semplice.

Torniamo alle maschere!

È da sapere che in tutta la Valle Sabbia non esiste gesto più disonorevole e offensivo di togliere la maschera ad un Mascher, perché l’identità di chi vi è sotto va celata e protetta per tutta la manifestazione. Questa è la prima ed unica legge del Carnevale.

 

 

 

Tipica di queste zone è la presenza di due gruppi di maschere, quasi ad essere due Carnevali distinti raggruppati in un’unica festa (questa caratteristica la si nota maggiormente a Bagolino).

Si possono osservare due parti distinte:

  • Grottesca
  • Nobile o seria

A Livemmo il confine è meno marcato, ma comunque presente.

Il primo gruppo è formato da attori di tutte le età che indossano volti di vecchie o vecchi caricaturali, con grossi nasi ed espressioni innaturali e sgraziate. Ogni Mascher ha il suo costume e il suo ruolo che mette in atto giocando e scherzando con gli altri membri della comunità, ma anche rendendo partecipi i visitatori. Quindi potrebbe capitare che un sobrio cardinale dopo avervi dato la benedizione vi faccia leggere dei versetti della bibbia un po’ troppo “hot” o di essere rincorsi da arzille anziane infermiere che vogliono farvi un clistere. Niente paura: se starete al gioco, sarà tutto molto divertente.

I personaggi interpretati dalle maschere sono le figure importanti della vita di tutti i giorni che si possono trovare in un paese di montagna : il dottore, il prete, l’artigiano, il cacciatore, la madre con il suo bambino, le coppie innamorate, le suore, uomini e donne negli abiti tipici della tradizione contadina.

Tutto si basa sul paradosso degli opposti: il diavolo e il prete, la strega e la bianca, il ricco e il povero; in questa occasione giocano e scherzano assieme o si indispettiscono a vicenda.

Una maschera spicca tra tutte, “il Doppio”, introdotta negli anni sessanta vaga per il paese senza far capire mai in che direzione vada. Si tratta di un personaggio con due maschere (una di fronte e una sulla nuca), cappello, mantella e sgalber a due punte (scarpe interamente o solo con la suola in legno che animano le vie del paese scandendo ogni passo); questo travestimento e i suoi movimenti sono tali da confondere l’osservatore sulla direzione che sta seguendo.

Un personaggio dall’aspetto aristocratico che sottolinea la doppiezza dell’animo umano, probabilmente dato il periodo in cui è nata e il suo “look” si riferisce alla figura del politico.

Passando alla parte nobile di questo carnevale, le maschere storiche che troviamo sono: “la vecia dal val” e “l’omasì dal zerlo”.

Anche in questo caso le maschere sono utilizzate come valvola di sfogo, un modo per permettersi di dire quello che si è taciuto tutto l’anno e avere una rivalsa su una realtà non sempre facile.

la Vecia dal val” o vecchia con il settaccio è un costume a due personaggi, la prima che balza all’occhio è una grande donna anziana provata in volto e dalla postura ingobbita che porta in mano un grosso setaccio dove al di sopra comodamente siede il marito, cullato dai movimenti della moglie che danza per tutta la durata del carnevale.

Una maschera che rappresenta la denuncia e un moto di ribellione delle mogli, asservite ai propri uomini impegnate a curare la casa e la famiglia, a lavorare nei campi e da quelle mansioni trascurate dal marito.

La stessa tecnica del travestimento delle due figure è utilizzata per rappresentare “l’omasì dal zerlo” – l’uomo con la gerla. In questo caso ci troviamo di fronte a due figure maschili, una trasporta l’altra nella gerla e, a fatica, ne sopporta il peso sulle spalle.

Rappresentano il mandriano e il contadino in continua competizione tra loro: il mandriano impegnato ad accudire le bestie non riesce a produrre il foraggio necessario a nutrile quindi si deve rivolgere al contadino per acquistarlo. In base alla raccolta della stagione passata uno prevaleva economicamente sull’altro e il “perdente”, in queste giornate, si doveva travestire da omasì e portare simbolicamente caricato nel gerlo il suo vincitore, danzando per le vie del paese in attesa dell’anno successivo sperando nella rivalsa.

Entrambe le maschere confondono l’osservatore non facendo capire se le persone travestite sono due o una e in caso qual è quella vera, ricordando ancora una volta l’ambiguità dell’animo umano che si palesa nei giorni di Carnevale, permettendo al confine del reale di mescolarsi all’irreale, dando vita per qualche giorno a un mondo a sé.

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